Il mestiere della materassaia è oramai scomparso, sostituito dal lavoro svolto dalle macchine industriali. Un tempo la figura della materassaia (“Matrasser“) era stagionale (per la maggior parte dei casi) e comprendeva le seguenti fasi: lavare la lana (“Lavè la len“), farla asciugare (“Foll assuchuè“), districare (“Aprj“), riempire il materasso (“Iagnj ‘u matarozz“), cucire (“Caus“) e, infine, fare il cordone intorno (“Fè ‘u cradaun attirn“). Il tutto veniva eseguito per lo più nel periodo estivo o durante i preparativi di un matrimonio: era infatti usanza che questa spesa fosse addebitata alla sposa (“La zjt“).
Il lavoro della materassaia richiedeva precisione, pazienza, esperienza, ma soprattutto il saper curare i minimi dettagli: la lana doveva provenire da pecore selezionate, la fodera del materasso doveva essere di cotone, lavorato a mano mediante la tessitura, la fodera doveva essere riempita uniformemente con velli di lana, la cucitura del bordo doveva essere applicata con estrema cura. Sulle superfici del materasso, per fermare l’imbottitura in maniera uniforme, venivano applicate delle fettucce di cotone (“ ‘U capisciaul“) che attraversavano delle piccole asole circolari. Le cuciture erano effettuate con aghi grossi e lunghi (“La chisciedd“), resistenti al passaggio nella tela dura di cotone. Prima della cucitura finale, veniva eseguita l’imbastitura (“La gnmèt“). Anche nelle federe dei guanciali veniva inserita la lana di pecora e, per evitare che questa fuoriuscisse, venivano applicate le fettucce lungo i bordi che successivamente, intorno agli anni ’60, furono sostituite dai bottoni.
Tutto il ciclo produttivo durava per lo più una settimana e impegnava le donne dal mattino alla sera, con solo una breve pausa pranzo. Questo lavoro era considerato molto laborioso e stanchevole, ma fondamentale in quanto il materasso era (ed è) un elemento importante nella vita quotidiana: esso serve per riposare bene e per cominciare nel miglior modo possibile un’altra dura giornata di lavoro.
In precedenza è stato descritto il materasso che adoperavano i genitori (o solitamente gli adulti); per i figli, invece, appartenenti a nuclei famigliari spesso molto numerosi, i materassi erano a “Una piazza e mezza” (” ‘Na piozz i menz“). Questo formato superiore consentiva l’utilizzo dello stesso letto da parte di più figli dello stesso sesso. I materassi riservati ai figli erano riempiti di foglie di granturco (“D fauglij d irianaun“), che venivano rinnovati ogni anno dopo il raccolto del granturco poiché quest’ultimo, per l’utilizzo, si frantumava e si polverizzava. Per questo tipo di materasso, in uso fino agli anni ’60, c’erano degli inconvenienti: ogni minimo movimento comportava lo strofinio delle foglie e, di conseguenza, il rumore; per non parlare delle fastidiose punte di paglia che fuoriuscivano dalla tela del materasso. Successivamente, le foglie di grano turco furono sostituite da crine di fibre vegetali, utilizzate fino agli anni ’70, ed il lavoro della materassaia iniziò la sua rapida fase di declino fino ad arrivare all’estinzione dei giorni d’oggi.
Gli utensili
La len – la lana
La fedr – la fodera
‘U cttaun – il cotone
La capisciaul – la fettuccia di cotone
La chiscedd – l’ago grosso e lungo
La furc – le forbici
‘U cjntumtr – il centimetro
La mochn p caus – la maccina per cucire