Grammatica di base

La grammatica è un aspetto fondamentale per conoscere un popolo. Esso rappresenta il modo più veloce e diretto per comunicare ed esprimere concetti. Anche il dialetto materano, così come tutte le lingue del mondo (compresi tutti i dialetti), possiede una sua grammatica; studiarla è importante non solo per preservare la tradizione e la cultura, ma soprattutto per dialogare con quella parte di popolazione che può essere definita “l’università della nostra vita”: i nonni!

Gli articoli determinati ed indeterminati

Articolo Determinativo

Gli articoli determinativi si usano per indicare una o più cose ben precise. Nel dialetto materano l’uso di questi articoli non segue regole precise e universalmente valide, ma in generale si può dire che:

  • Gli articoli maschili singolari plurali si traducono con “u”, quindi diremo: ” ‘U ppen” (il pane), “ ‘U cuastidd” (il castello),  ” ‘U cidd” (l’asino),  “ ‘U drpaterij” (un grosso fossato) “ ‘U quen” (il cane). Esempio di eccezione: “La jarròmm” (il fossato);
  • Gli articoli femminili singolari si traducono con “la”, quindi diremo: “La f’ndèn” (la fontana), “La vorv” (la barba), “La jaddìn” (la gallina). Eccezioni: “La jott” (il gatto);
  • Gli articoli femminili plurali non hanno una regola ben precisa, a volte si traducono con “u” ed altre volte con “la”, restando uguali alla forma singolare. Come si imparano? L’unico rimedio è ascoltare le parole è memorizzarle. Ecco alcuni esempi: ” ‘U f’ndèn” (le fontane), “ ‘U jaddìn” (le galline), “La me’ll” (le mandorle).

Eccezioni: a volte capita che, in riferimento ad alcune parole, l’articolo plurale sia lo stesso di quello singolare, cambia la pronuncia della parola stessa a cui esso si riferisce. In questo caso l’unico modo per imparare i vocaboli è il ricorso alla memoria. Ecco alcuni esempi: ” ‘U cuavadd” (il cavallo, singolare) – ” ‘U cuavaddr” (i cavalli, plurale), “ ‘U cidd” (l’asino, singolare) – “ ‘U ciaddr” ( gli asini, plurale), “ ‘U criatur” (il bambino, singolare) – ” ‘U cria’torr” (i bambini, plurale).

Articolo Indeterminativo

Gli articoli indeterminati si usano per indicare cose generiche o non numerabili. In dialetto la regola è:

  • Gli articoli indeterminati maschili si traducon con  ” ‘n” (uno): ” ‘N cuastidd” (un castello),  “ ‘N cidd” (un asino), “ ‘N drpaterij” (un grosso fossato) ” ‘N ciuc’r” (un cece);
  • Gli articoli indeterminati femminili si traducono con “‘na” (una): ” ‘Na fjndèn” (una fontana), ” ‘Na jaddìn” (una gallina), ” ‘Na me’ll” (una mandorla).

Un po’ di … dei/del/della/delle/degli

L’espressione “un pò” si traduce spesso con la parola ” ‘n zc” e spesso viene usato come articolo partitivo: ” ‘N zc d ppen” (un pò di pane/del pane), ” ‘N zc d ssel” (un pò di sale/del sale). Alcune volte l’espressione “un pò” si traduce con “cer’t”. Esempio: “Cer’t jagn’n” (certi ragazzi),  “Cer’t cria’torr” (dei bambini).

I pronomi personali

Pronomi personali singolare

IO – Ji

TU – T’

EGLI/ESSO/LUI –  Judd

ELLA/ESSA/LEI  – Jedd

Pronomi personali plurale

NOI – Nij

VOI – Vij

ESSI/ESSE/LORO – Lar

Nel rapportarsi con gli altri, è importante decidere se dare “del Tu”, “del Voi” “del Lei”. Nel dialetto materano la scelta dipende dal grado di confidenza che si ha con l’interlocutore o dal suo ceto sociale. Si da “del tu” quando si considera l’altra persona come un pari. La domanda tipica per rompere il ghiaccio e per presentarsi è: “E t’, com t’ chiem’? A cij appartn” (e tu come ti chiami? a quale famiglia appartieni?).

Se al contraio ci si rivolge ad una persona con cui non si ha molta confidenza, o che magari appartiene anche ad una diversa classe sociale, si usa tassitavamente “il Voi”: “Com vij chiamet?“.

Spesso, quando si rivolge la parola a delle persone anziane, al “padrone” o a delle persone che non si conoscono bene, si usa l’espressione “A sign’rì” per indicare “e voi signore”. Esempio “A sign’rì, a c appart’nijt?” (e voi signore, a quale famiglia appartenete?).

Il dialetto materano non prevede l’uso “del Lei”: troppo formale e soprattutto troppo moderno.

Gli aggettivi e pronomi dimostrativi

In dialetto gli aggettivi dimostrativi hanno un’unica radice che si differenzia a seconda che l’aggettivo sia maschile o femminile.

Singolare

  • Gli aggetti dimostrativi maschili  “questo” e “quello” hanno una stessa radice che è “CU” e si traducono rispettivamente “CUSS” e “CU’R“. Alcuni invece usano dire “CHISS” e “CHIR” ma più o meno è la stessa cosa;
  • Gli aggettivi dimostrativi femminili “quella” e “questa” hanno la stessa radice “CA” e si traducono rispettivamente con “CA’RA” e “CASS“. Alcuni dicono anche “CHER” e “CHESS“.

Plurale

Gli aggettivi dimostrativi, al plurale, non fanno distinzione di sesso:

  • “Questi” e “queste”  si traducono con l’espressione “CH’SS“;
  • “Quei/quegli” e “quelle” con la parola “CH’R“, come si vede scompare la vocale.

Ecco alcuni esempi:

“Cuss lubbr/ chis lubbr” – Questo libro

“Cur bòll/ chir bòll” – Quel ballo

“Ca’ra chés” – Questa casa

“Cass pèrt” – Quella porta

“Ch’ss piòtt” – Questi piatti

“Ch’ss pezz” – Queste pezze

Stessa cosa per i pronomi dimostrativi, vale a dire quegli aggettivi che prendono il posto dei sostantivi, fatta eccezione per “questa” che si traduce con “CA’R“. In questo caso la “A” finale non viene pronunciata.

Alcune espressioni tipiche:

“Nan Cuss, Cudd’ot” – No questo, quell’altro

“Nan Chir e Cuss’ot” – Nno quello, quest’altro

“Car e Chedd’ot” – Quella e quell’altra

“Chess e Chess’ot” – Questa e quest’altra

Aggettivi e pronomi possessivi

Aggettivi maschili singolari

  • “Mij” – mio
  • “Tij” – tuo
  • “Sij” – suo
  • “Nust” – nostro
  • “Vust” – vostro

Aggettivi femminili singolari

  • “Maj” – mia
  • “Taj” – tua
  • “Saj” – sua
  • “Nest” – nostra
  • “Vest” – vostra

Occorre ricordare che a differenza dell’italiano, il dialetto materano fa uso SEMPRE dell’aggettivo possessivo dopo il sostantivo a cui si riferisce (mai prima).

Esempi:

“La scòrpa maij” – La mia scarpa

” ‘U lubbr mij” – Il mio libro

” ‘U sartosc’n saij” – Le sue pentole

Pronomi possessivi

pronomi possessivi, sia maschili che femminili, sono gli stessi  che utilizziamo per gli aggettivi.  Nel linguaggio parlato essi sono SEMPRE preceduti dall’articolo determinativo.

Esempi:

“Chuss lubbr ièt u’ mij” – Questo libro è mio

“Chess scòrp jèt la maij” – Questa scarpa è mia

Nomi e sostantivi

I nomi possono essere classificati in base al genere (maschile/femminile) ed al numero (singolare/plurale). Per quanto riguarda gli esseri animati esiste, in generale, una certa corrispondenza tra il genere grammaticale e quello naturale (sesso maschile o femminile dei referenti). Vi sono tuttavia dei casi in cui tale corrispondenza non si verifica: la guardia, la spia, il soprano. In genere, le desinenze -o -i indicano il maschile singolare e plurale, -a -e indicano il femminile singolare e plurale. I nomi che terminano in -e (plurale -i), invece, possono essere sia maschili che femminili: il latte, la notte (fonte: dizionario della lingua italiana –  Palazzo Folena – Loescher editore).

Se questo vale per la lingua italiana, nel dialetto materano le regole sono molto più semplici. Le vocali finali non si leggono per niente. Quasi tutti i nomi (se non proprio tutti) terminano per consonante.

Per esempio:

“La fn’den” – La fontana

” ‘U cu’en” – Il cane

Quindi, come si fa a capire il genere o il numero riferito ad un nome? Elementi fondamentali di distinzione sono gli articoli determinativi ed indeterminativi, essi indicano se il nome è singolare o plurale, maschile o femminile.

Plurale

Di seguito riportiamo alcune regole per comporre il plurale dei nomi e degli aggettivi. Si tratta di norme a carattere generico con molte eccezioni che noi non abbiamo elencato. Definizioni:

  1. I nomi e gli aggettivi che al singolare terminano con -a formano il plurale in:
    – i se maschili. Esempi: sistema/sistemi, comunista/comunisti, poeta/poeti (in dialetto la vocale finale non si legge mai, quindi diremo: ” ‘U s’stam”, ” ‘U comunust”, ” ‘U poat”)
    -e se femminili. Esempi: mamma/mamme,casa/case, gatta/gatte (ancora una volta le vocali non si leggono quindi diremo: “La mòmm/ ‘u mòmm”, “La ches/ ‘u ches”, “La iòtt/ ‘u iòtt”)
  2. I nomi e gli aggettivi che al singolare finiscono in -ca-ga al plurare diventano:
    che, –ghe per il femminile plurale. Esempi: La banca/banche, la barca/barche (in dialetto “ca” e “che” si si pronunciano “k”, quindi diremo: “La bònc/ ‘u bonc”, “La bòrc/ ‘u bòrc”. Ga e ghe si leggono gh: “La collag/ ‘u collag”)
    chi, –ghi per il maschile plurale. Esempi: il collega / i colleghi, il monarca/i monarchi (in “ca” e “chi” si leggono “K” mentre ga e ghi si leggono gh. Quindi diremo: ” ‘U collag”” ‘U monorc”)
  3. I nomi e gli aggettivi che terminano in –cia, –gia
    – se la ì è tonica al plurale diventano –cie, –gie. Esempi: la farmacìa/farmacìe, bugìa/bugìe (in dialetto “cia” e “cie” si leggono “cij” con il suono della i prolungato)
    – se la i non è tonica, e c’è una consonante prima di –cia, –gia il plurale diventa –ce, –ge. Esempi: la faccia/facce, la spiaggia/spiagge (in dialetto “cia” e “ce” si leggono “c”, con “c” diverso dal suono “k”, meno deciso, e “cie” e “gie” si leggono “g”, diverso da “gh”)
    – se la i non è tonica, e c’è una vocale prima di –cia, –gia il plurale diventa –cie, –gie. Esempi: la camicia/le camicie, la valigia/le valigie, la ciliegia/le ciliegie (in dialetto non c’è una regola precisa, a volte “gia” e “gie” si leggono “scij” e “cia” e “cie” si leggono “s”. Esempi: “La valiscij/ ‘u valiscij”, “La camm’s/ ‘u camm’s”, “La c’res/ ‘u c’res”. Ovviamente alcuni termini dialettali sono totalmente diversi dall’italiano)
  4. I nomi e gli aggettivi che terminano in -o formano il plurale così:
    -i maschile plurale. Esempi il libro/i libri (in dialetto ovviamente la vocale finale non si legge: ” ‘U lubbr”)
    -i femminile plurale. Esempi: la mano/le mani (in dialetto la vocale finale non si legge: “La mèn/ ‘u mèn”)
  5. I nomi e gli aggettivi che finiscono in –io al plurale diventano:
    – se la ì è tonica:-ii. Esempi: lo zio/gli zii (in dialetto non c’è una regola generale, almeno fino ad ora non l’abbiamo ancora trovata. Lo zio si dice ” ‘U zièn”)
    – se la i non è tonica : -i. Esempi: l’aglio/gli agli, gli occhio/gli occhi. (anche qui in dialetto non c’è un denominatore comune. Occorre imparare alcune parole solo sentendole pronunciare: “L’òglij”, “Lucchij”)
  6. I nomi e gli aggettivi che finiscono in –co, –go formano il plurale così:
    – se l’accento cade sulla sillaba precedente il plurale diventa –chi, –ghi. Esempi: antico/antichi, lago/laghi – certo non mancano le eccezioni – (in dialetto “co” e “chi” si leggono “k”: “L’andìc”. “Go” e “ghi” si leggono “gh”: ” ‘U lègh”)
    – se l’accento cade due sillabe prima il plurale diventa –ci, –gi. Esempi: matematico/matematici, psicologo/psicologi (in dialetto “co” e “ci” si leggerebbero “k”: “Matemòtik”, mentre “go” e “ghi” diventano “gh” e si leggerebbero “Psicàl’gh”)
  7. I nomi ed aggettivi che finiscono in -e sia al maschile che al femminile terminano con -i. Esempi: la nave / le navi, la televisione / le televisioni. (In dialetto non si legge la vocale finale: “La nev/ ‘U nev”, “La televisiàn/ ‘U televisiàn”)

N.B. si è notato che le parole che in dialetto al singolare finiscono per “d” hanno il plurale in “dr”. Esempi: ” ‘U cuavodd/ ‘U cuavoddr”, ” ‘U cidd/ ‘U cioddr”.

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