‘U F’rrer – il maniscalco

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Il maniscalco, in dialetto ” ‘U frrèr“, era un mestiere legato alla civiltà contadina, diffuso in passato quando la gente utilizzava gli animali per spostarsi. Nel periodo intorno al 1900, e fino agli anni ’50 e ’60, l’agricoltura rappresentava la fonte di reddito primaria per la maggior parte della popolazione materana; diffusissime erano le botteghe di fabbri che si occupavano di riparare gli zoccoli dei muli con i quali i contadini si spostavano in campagna.

Il lavoro per i contadini iniziava al mattino presto quando si mettevano in marcia, in compagnia dei propri animali da lavoro, alla volta delle proprie terre o di proprietà dei Signori (“A Cmnonz“). La procedura per riparare gli zoccoli dei muli era complessa e spesso richiedeva l’ausilio del contadino o del ragazzo di bottega, oltre che dell’artigiano. Il ferro del cavallo veniva lavorato e sagomato sulla forgia e arroventato sui carboni ardenti mediante il vento emesso dal mantice, azionato da una manovella.

Gli utensili

‘U fjrr du cuavoddil ferro di cavallo
‘U martjddil martello
La tnogghjla tenaglia
‘U cindrni chiodi lunghi
L’anchidnl’incudine
La fargjla forgia
‘U carvjni carboni
La punzle pinzeC

Curiosità

Il ferro di cavallo viene usato ancora oggi come porta fortuna; per questo motivo è facilmente individuabile negli appartamenti, nei negozi, nelle botteghe artigiane, nelle automobili di gente superstiziosa (anche riprodotto in ciondoli). Il fabbro dell’epoca era anche curatore degli animali, infatti eseguiva degli interventi quando gli animali si ammalavano, partorivano, o per qualsiasi altro imprevisto. A volte il maniscalco diveniva anche curatore delle persone, soprattutto per le cosiddette slogature (distorsioni o lussazioni), eseguendo le stoppe per mantenere le articolazioni bloccate. A volte il maniscalco esagerava con la creazione delle stoppe, rischiando di provocare delle deformazioni articolari. La stoppa era costituita da garze, sottoprodotto della pettinatura della canapa o del lino. Tale stoppa era impregnata del bianco dell’uovo. Quando l’impasto induriva diventava un agglomerato semirigido che l’attuale gessatura.

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